Alti livelli di soddisfazione professionale contribuiscono a migliorare non solo la vita lavorativa degli individui, ma anche la vita privata. Un mercato del lavoro di qualità non è, infatti, solo quello caratterizzato da alti tassi di occupazione – certamente imprescindibili per generare ricchezza e garantire una vita dignitosa ai cittadini – ma anche quello nel quale chi già ne fa parte, esprime un giudizio positivo sul proprio impiego. Di norma nelle più diffuse analisi statistiche sull’occupazione, gli unici dati che sono presenti e sui quali si sofferma con maggior attenzione non solo il policy maker istituzionale, ma anche l’opinione pubblica, fanno riferimento all’incremento o meno del numero di lavoratori, alla variazione della platea dei disoccupati, alla quota di inattivi scoraggiati, etc. e mai a quella dimensione che, con una locuzione forse abusata, potrebbe essere definita come “benessere lavorativo”. Mentre la letteratura scientifica sul tema è abbondante, i dati statistici scarseggiano; eppure recentemente l’Istat, nella ben nota Indagine sulle Forze Lavoro, ha introdotto una serie di domande finalizzate proprio a rilevare il livello di soddisfazione per l’impiego svolto dei lavoratori italiani. Si tratta di alcuni semplici aspetti estremamente utili poiché consentono all’analista di ricostruire, con dati sicuri e rappresentativi della popolazione italiana, il quadro statistico non solo del gradimento generale per l’impiego, ma anche per la retribuzione, per il clima e le relazioni, per il grado di interesse espresso per l’attività professionale, per la percezione di sicurezza/insicurezza lavorativa e finanche per i tempi di percorrenza tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Ebbene tutto questo semplice, ma al contempo originale patrimonio di dati, è scarsamente noto.
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